Prima del 1978, anno
di approvazione della legge 194, il 1975 ha rappresentato un
importante crocevia sociale e politico. L’aborto infatti si pone al
centro del dibattito pubblico a fronte di arresti illustri, quali il
segretario del partito radicale Gianfranco Spadaccia, Adele Faccio,
segretaria del Centro Informazione sulla sterilizzazione ed aborto
(CISA) ed Emma Bonino, per aver praticato aborti ed essersi
successivamente autodenunciati alla polizia.
Il 5 febbraio dello
stesso anno viene presentata alla Corte di Cassazione la richiesta di
referendum abrogativo, uno dei primi tentativi che condurrà alla
legge attualmente vigente su aborto e maternità responsabile.
Ed è nel gennaio
del 1975 che l’Espresso ci regala una delle copertine più forti e
d’impatto sul tema della libertà di scelta, ma ancora di più sul
dramma della difficoltà di accesso all’aborto, che si realizza
nella clandestinità delle pratiche.
In copertina una
giovane donna completamente nuda, incinta, crocifissa, con il titolo
chiaro “Aborto: una tragedia italiana”. Siamo nell’Italia di
Aldo Moro e della Democrazia Cristiana, gli anni in cui il mondo
cattolico aveva il potere di vincolare e limitare i diritti delle
donne, in particolare sui temi della riproduzione.
Questa copertina ha
creato un gran clamore intorno a sé. La fotografia è a opera di
Dante Vacchi, colui che prima aveva seguito la guerra d’Algeria e
successivamente contributo a fondare i Comandos portoghesi.
L’articolo, a firma di Enrico Arosio parla di una donna: «In croce
come Gesù, e però femmina, incinta e nuda. Drammatica, con quella
luce livida, e insieme dolce. La chioma nera che scende sul petto
pallido, la morbida curva del ventre teso dalla gravidanza, le
braccia snelle, l’ombra scura del pube». A rendere il tutto ancora
più dissacrante il fatto che la modella fosse realmente incinta
(come potete immaginare photoshop non esisteva), rappresentando come
il dramma degli aborti clandestini e delle difficoltà di accesso a
servizi sicuri riguardassero storie e corpi reali di donne, fino a
quel momento relegate al privato del nascondimento.
Come potrete
immaginare il numero è stato sequestrato per "villipendio alla
religione” e il direttore dell'epoca, Livio Zanetti, denunciato.
Ancora oggi questa
copertina rappresenta un evocazione molto forte delle lotte di
migliaia di donne e soggettività per vedere riconosciuto il diritto
di scelta sui propri corpi e sulle proprie vite. Un corpo che decide
di rompere con il precedente assoggettamento patriarcale, nella
famiglia ma anche nella società, e rispondere ai propri desideri e
non ai ruoli imposti e vincolanti.
La croce, immagine
per eccellenza dell’iconografia cristiana per eccellenza del dolore
e della sofferenza, viene affidata ad una donna, alla sua nudità e
al desiderio (che si incarna come desiderio e non come costrizione)
di non portare avanti una gravidanza, che nella copertina è in stato
evidentemente avanzato.
La forza iconica di
questa foto ha traslato perfettamente la forza, la rabbia e la
sofferenza di tutte quelle donne che ce l’hanno fatta, ma anche di
quelle che purtroppo a causa della clandestinità non ce l’hanno
fatta.
Ieri come oggi, la
scelta resta la loro, grazie al numero spropositato di obiettori di
coscienza, ma continuiamo ad essere crocefisse noi.
Commenti
Posta un commento
Il commento o testimonianza verrà ora analizzato.