La verità, vi prego, sull'aborto. Quattro chiacchiere con Chiara Lalli



Chiara Lalli, docente di bioetica e saggista, lavora da anni sui temi dell'aborto, in particolare sull'obiezione di coscienza, affrontato nel saggio "C'è chi dice no. Dalla leva all'aborto. Come cambia l'obiezione di coscienza", e sugli stigmi che investono le donne che hanno scelto di abortire.
Oggi ne parliamo insieme.

Ciao Chiara, vorrei citarti dicendo che “di aborto non si parla quasi mai”.
Poiché è da quel “quasi” che stiamo cercando di ripartire. Ce ne parli un po’ tu anche per quella
che è stata la tua esperienza?


Quasi mai e quando se ne parla è tutto un rimpianto e un dolore eterno.
Io ho abortito molti anni fa. Ogni tanto ci ripenso e sono sollevata.
Che incubo sarebbe stato avere un figlio (per me, lo specifico anche se dovrebbe essere ovvio visto
che non parlo a nome dell’umanità). Averlo proprio con quell’ex fidanzato, poi. Essere legata per non
so quanti anni alla sua famiglia e a tutte le implicazioni morali e normative. Penso alla scocciatura delle
notti insonni e degli incontri con i professori, alla noia dei primi anni di vita durante i quali l’avvenimento
più interessante sarebbe stato il primo dentino o il primo balbettio.
Ovviamente non posso sapere con certezza come sarebbe andata se non avessi abortito.
Come non possono farlo quelle convinte che avrebbero avuto una vita meravigliosa se solo
non avessero interrotto quella gravidanza. Posso però rassicurare tutti quelli che “ah, ma prima o
poi te ne pentirai”. No, è gentile da parte vostra preoccuparvi,
ma sto bene e non ho mai avuto ripensamenti.


A 5 anni dall’uscita di “La verità, vi prego, sull’aborto” cosa credi sia cambiato in Italia rispetto
ai temi che riguardano l’aborto e lo stigma che investe le donne che hanno scelto di abortire?
Come credi che il mondo femminista accolga questa visione ormai connaturata nella nostra cultura?


Mi pare niente. Il culto dell’infanzia e della maternità e dell’istinto materno (che è una invenzione
abbastanza recente) mi sembrano perfino peggiorati.
Alcune femministe si sono irrimediabilmente affezionate a una visione angusta e allucinatoria
dell’aborto volontario: è moralmente riprovevole, è un dramma, una ferita insanabile. Un lutto
inconsolabile. Per tutte. Necessariamente.Hanno assorbito la più feroce e fallace retorica prolife.
Non puoi mica dire “ma io ho abortito e sto bene” senza che qualcuna con scarsa immaginazione
ti chieda indignata “ma allora vuoi dire che è divertente?” (in quel mondo in cui le uniche alternative
sono dramma-inconsolabile-in-quanto-donna-costretta-ad-abortire e divertimento). E non puoi
rispondere che non ti diverti nemmeno quando vai dal dentista o dal commercialista però non è
un dramma, perché all’indignazione si aggiunge la furia di chi non capisce un argomento nemmeno
con i sottotitoli: “vuoi forse paragonare un bambino non nato (che tu non hai fatto nascere) a un dente
o a una dichiarazione dei redditi?!”.
Oppure stai negando o rimuovendo una sofferenza troppo profonda. Perché nessuna donna
sopravvive a un aborto e nessun aborto è davvero volontario.
Allora lasci perdere perché è più sensato parlare con un muro.
E poi penso a Shulamith Firestone e mi viene da piangere.
Penso che nel 1970 aveva scritto che il culto del parto naturale era un pezzo dell’ossessione
hippy-rousseauiana del ritorno alla natura. Se hai finito le scuole medie non dovresti pensare che
la natura è buona e giusta.
Leggo i pensierini di alcune che vogliono fare la rivoluzione a forza di considerare tutto
mansplaining e sessismo e patriarcato e mi viene da piangere.


Ho scoperto che il tuo libro è acquistabile anche con la Carta del Docente.
Conosci personalmente qualche docente che ha utilizzato il tuo testo all’interno di una classe?
Io ho conosciuto personalmente una dirigente scolastica che ha premuto molto per fare all’interno
del suo istituto un corso sulle buone maniere. Possibile che sia meno importante il sesso consapevole
rispetto a un vaffanculo?


No.
Dici che basta un corso per imparare le buone maniere?


Ritieni più credibile la sindrome post abortiva o il tesoro alla fine dell’arcobaleno?


La sindrome post abortiva è una bugia. Siamo animali creduloni e primitivi,
quindi è importante che qualcosa sia credibile (non vera) e che qualcuno ripeta un concetto elementare
abbastanza spesso per fartelo entrare in testa. Come una brutta canzone.
Siamo abbastanza ben allenati al senso di colpa e poco all’analisi razionale,
preghiamo se l’aereo balla anche se siamo atei, vediamo forme e sifgnificati dove non c’è che una
serie disordinata di oggetti. La sindrome post abortiva e i tesori sono entrambi letteralmente incredibili,
ma che importa?


Sei stata definita da un sito cattolico “il volto giovane del variegato e stravagante mondo della bioetica
laicista”. A fronte di questa definizione “come se fosse antani anche per lei soltanto in due”, per citare
la supercazzola del film Amici miei, cosa pensi e come definiresti coloro che si dichiarano antiabortisti?


Devono essere passati alcuni anni, immagino. Mi piacerebbe che decidessero delle loro gravidanze
e non della mia. Ma è una speranza vana perché gli esseri umani amano moltissimo impicciarsi dei
fatti altrui e pretendere di imporre decaloghi e leggi universali. L’unica alternativa alla possibilità di
scegliere è la gravidanza obbligatoria. Difficilmente gli antiabortisti risponderanno alla domanda: “e
come pensate di impedire a una donna di abortire, legandola al letto?”. Ripiegheranno sulla sacralità
della vita. Sì, d’accordo, e quindi camicie di forza?


Cosa diciamo alle donne che ci stanno leggendo?

Di imparare a distinguere le fallacie dalle buone argomentazioni. È più importante saper ragionare di
avere un utero.

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