Aborti e storytelling: l'importanza delle narrazioni



Il discorso del 1851 di Sojourner Truth mi è tornato in mente  quando  ho  letto  alcuni  articoli  recenti  che  sottolineavano  la storia  dello  storytelling  dell'aborto  citando  unicamente  il 
contributo di donne bianche.
Abbiamo  testato  che  narratrici  di  colore  hanno  parlato  delle  loro varie esperienze di aborto per anni tentando di cambiare lo stigma attorno ad esso. Quando Sojourner Truth fece il suo  famoso  discorso  «  Non  sono  anch'io  io  una  donna?»  era  frustrata  dalla    supremazia  bianca  che  assillava  il  primo movimento  suffragista  delle  donne,  allontanando  le  donne bianche  dal  riconoscere  le  difficoltà  che  le  donne  nere dovevano affrontare. Questo comportamento è ora conosciuto come «misogynoir», una parola coniata dalla femminista nera queer Moya Bailey per illustrare l 'intersezione tra sessismo e razzismo che le donne nere sperimentavano. Nel  suo  intervento,  Truth  sottolineava  il  modo  attraverso  il quale  la  società  si  rifiutava  di  riconoscere  le  sfide  che  le donne nere  sperimentavano  come  intrecciate alla liberazione  delle donne bianche. Questo intervento mi è tornato in mente dalla  lettura  di  recenti  articoli  sul  New  York  Times  e  il 
Broadly  che  sottolineavano  la  storia  dello  storytelling  dell'aborto ma solo citando i contributi di donne bianche.Questi articoli, e altri come questi, ignoravano la leadership e i  grandi  passi  in  avanti  fatti  dalle  persone  di  colore  per cambiare  la  narrazione  a  proposito  di  chi  avesse  avuto  un aborto e il perchè.
Come  storyteller  di  aborto  ero  particolarmente  frustrata  dal  vedere una citazione nell'articolo del Broadly, che si augurava un  futuro  dove  le  persone  fossero  aperte  nell'avere  aborti  multipli e con sollievo e orgoglio potessero dire: «un giorno ci sarà  un  posto  dove  chiunque  potrà  dire    ho  avuto  5  aborti; fattene  una  ragione.  Non  ci  siamo  ancora  arrivati.  Ma succederà».
Quel futuro è già qua. E' qui da anni. Ho parlato apertamente  rispetto al fatto che ho avuto 6 aborti negli ultimi 24 anni, e non  mi  pento  di  nessuno  di  questi.  Io,  insieme  a  molti  altre storyteller di colore  di WeTestify , abbiamo parlato per anni a  proposito  delle  nostre  esperienze  di  aborti  multipli  per cercare di cambiare lo stigma che li riguarda. Le nostre storie non sono fuori dal comune, in considerazione del fatto che la maggioranza delle persone che ha aborti sono persone di colore, e circa la metà delle pazienti intenzionate ad abortire hanno avuto come minimo un aborto precedente, come rivela uno studio del Guttmacher Institute. Infatti, come quella ricerca sostiene, disuguaglianze strutturali che creano barriere per la cura della salute, sono la principale causa per la quale persone di colore spesso hanno bisogno di più  di  un  aborto.  Uno  studio  del  2012  sul  Contraception Journal conclude che bisogna allargare il modo di pensare sul perchè alcune donne necessitano di aborti addizionali, perché ognuno  di  essi  è  spesso  dovuto  a  «  circostanze  uniche»,  e anche il nostro linguaggio perpetua lo stigma.
Quando  non  siamo  incluse  negli  articoli  o  in  altre conversazioni a proposito dell'aborto, benintenzionati scrittori e difensori stanno recando un disservizio al movimento per i diritti riproduttivi e ad altre persone come noi che hanno avuto aborti multipli. Per essere completamente onesta, gli articoli e le  discussioni  che  non  contemplano  o  non  riguardano  le persone di colore semplicemente diffondono, ancor di più, la supremazia  bianca.  E'  un'operazione  di  white  washing  della storia proprio davanti ai nostri occhi. Il non includere queste storie  e  le  barriere  alla  salute  che  le  persone  di  colore subiscono  in  questa  nazione,  il  movimento  continua  questo 
ciclo e mantiene gli ostacoli alla nostra liberazione. Anche  se  potrebbe  sembrare  un  innocente  inciampo  sulla strada  lastricata  di  buone  intenzioni,  è  parte  di  una  lunga storia  di  cancellazione  del  lavoro  e  dei  contributi  delle persone di colore, in particolare delle donne nere. Suggerisce la narrazione problematica che  solo le  donne bianche  hanno aborti e condividono le loro storie per continuare a stare bene. Questo crea una società dove una persona di colore pensa che 
le donne bianche siano le uniche ad aver avuto un aborto, e ciò porta a una maggiore interiorizzazione dello stigma e dell' isolamento.  Questo  è  un  particolare  schiaffo  al  tempo  nel 
quale la rappresentazione  di personaggi di colore che hanno un  aborto  è  all'apice.  Perché  la  narrazione  del  movimento  e della stampa  è così indietro?

La storia dei miei aborti
Nel  1995  avevo  19  anni  e  ho  avuto  il  mio  primo  aborto.  E' successo durante il mio secondo anno di college e ho pensato che sarebbe stato l'ultimo aborto. La vita continua e la contraccezione non è  efficace al 100% quindi mi sono ritrovata  incinta  di  nuovo  nel  1999.  Volevo  abortire,  ma  ho lasciato che i miei genitori cattolici mi dicessero cos'era giusto per me. 
Sapevo dall'inizio che non era una buona idea, e ho supplicato che mi dessero i soldi per pagarmi l'aborto. Tuttavia, mi hanno convinta a fare ciò che volevano.Mia mamma sentiva che avevo già avuto un aborto e non era il caso che ne avessi un altro. I miei genitori mi promisero di supportarmi  e  aiutarmi  in  tutti  i  modi.  Sono  entrata  in  una situazione  di  terrore  per  l'ignoto,  perchè  non  conoscevo  il ragazzo  di  cui  ero  incinta  abbastanza  bene  da  trascorrere l'intera vita insieme a lui.
Se avessi saputo allora, ciò che so adesso, probabilmente non sarei diventata madre .Il parto di mia figlia fu una cosa terrificante. Sono partita dall' avere una gravidanza perfetta all' incubo di un taglio cesareo molto  esteso.  Ho  veramente  pensato  di  non  uscire  viva dall'ospedale.  Mi  ha  spaventata  così  tanto  che  ho  pensato: come possono le donne farlo ancora e ancora? Il dottore mi 
disse che avrei avuto più di una possibilità in futuro di dover subire di nuovo un parto del genere se avessi voluto altri figli.Questa cosa mi ha segnata. Non ci sarebbe stato nessun modo per  spingermi  ad  essere  di  nuovo  tagliata  e  a  guardare  in faccia  la  morte  allo  scopo  di  avere  altri  bambini.  Chiesi  di ottenere  la  legatura  delle  tube  ma  ero  troppo  giovane  e  il medico si rifiutò di farmela. Nel 2001, ho avuto il secondo aborto, una settimana dopo il primo compleanno di mia figlia. In un certo modo non volevo abortire,  ma  il  padre  e  la  sua  famiglia  pensavano  che  fosse troppo presto per avere un altro bambino e mi hanno pressata. Non ero così forte come adesso ed ero stanca di combattere. Dentro di me sono grata di aver avuto quell'aborto. Un anno dopo, nel 2002, ho avuto il mio terzo aborto, dopo l'inefficacia  della  contraccezione.  Ho  tentato  di  prevenire  la necessità  di  un  altro  aborto  utilizzando  la  contraccezione responsabilmente  come  amano  suggerire  i  sostenitori antiabortisti. Ma di nuovo è risultata inefficace. Faccio parte di  quel  9%  di  persone  che  sono  rimaste  incinte  mentre prendevano  la  pillola.  In  quel  periodo  facevo  dentro  e  fuori 
dal  tribunale  per  una  odiosa  battaglia  legale  con  il  padre  di mia  figlia  per  la  sua  custodia.  Quegli  anni  trascorsi  a combattere per la custodia mi hanno richiesto un tributo tale che giurai che non avrei mai più avuto figli.Anni dopo, nel 2007 e nel 2009, ho avuto altri due aborti e 
non sono necessarie ulteriori spiegazioni. Nel 2015 ho avuto una gravidanza ectopica che ha avuto come esito la rimozione della  tuba  di  Falloppio  destra.  Poco  dopo,  ho  iniziato  a lavorare  per  la  clinica  che  mi  aveva  assistito  con  cura compassionevole per tutti i miei aborti e inoltre per il dottore che  mi  aveva  fatto  partorire  mia  figlia.  E'  stato  lì  che  ho imparato quanto lo stigma influenza le decisioni quando si sta per avere più di un aborto. 
Per  tre  anni  sono  stata  consulente  lì,  e  sono  stata quotidianamente testimone di come lo stigma circa gli aborti multipli  influenza qualcuna  che  deve  decidere  di  avere  un aborto più di una volta. Ci sono state volte in cui le pazienti, specialmente le persone di colore, avrebbero voluto dichiarare 
quanto avessero bisogno di abortire, ma non volevano sentirsi male per averlo fatto anche se non erano in grado di portare avanti  la  gravidanza.  Ci  sono  molte  persone  che  continuano 
queste  gravidanze  e  si  prendono  cura  dei  figli  che  non volevano  e  di  cui  non  avevano  bisogno,  per  la  vergogna  di essere  giudicate  per  aver  avuto  più  di  un  aborto.  Alcune stanno  combattendo  con  una  tossicodipendenza,  hanno problemi di salute mentale che stanno cercando di controllare, bambini  già  in  affido  temporaneo  o  partner  dai  quali  stanno cercando di separarsi.
L'unico pensiero era che erano le sole ad aver avuto più di un aborto ed ero felice di poter condividere la mie storie e dire loro che non erano sole.Lo stigma sull'aborto multiplo non deve esistere. Lo stereotipo che  le  persone  di  colore    non  condividano  lo  loro  storie  di aborto  non  deve  esistere.  Ma  invece  tolleriamo  che  queste idee  possano  diffondersi  e  danneggino  le  persone  che cerchiamo di aiutare. Ogni volta che ciò accade, permettiamo che narrazioni fallaci e antiastoriche vengano riportate come fatti. E' questo il modo in cui funziona lo stigma , il privilegio 
bianco  e  la  supremazia  bianca:  ignorando  i  contributi  delle persone di colore e valorizzando quelli condivisi dalle persone bianche. La rimozione risulta soffocante ed estenuante.
Per me, parlare dei miei aborti multipli, è il primo passo per rigettare  lo  stigma  che  circonda  la  questione.  Spero  che  se continuiamo a parlare, non solo delle nostre storie, ma anche dell'ignoranza riguardo al lavoro delle storyteller di colore e alle  persone  che  hanno  avuto  più  di  un  aborto,  il  discorso cambierà  in  meglio.  La  mia  speranza  è  che  le  storie  che ascoltiamo,  riflettano  realmente  la  parte  di  popolazione  che cercano  di  rappresentare  e  che  quelle  persone    che  stanno sacrificando se stesse per condividere le loro storie, vengano riconosciute. Credo che ce la faremo.

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